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A tutte le Vittime
della tragedia di Genova
14/08/2018

 

 

CHE COSA FA UNO PSICOLOGO DELL’EMERGENZA?

 


Al rientro da ogni missione ho sempre bisogno mettere nero su bianco la mia esperienza : è un atto liberatorio ed elaborativo che quando diventa pubblico, cioè dedicato anche ad altri, si trasforma in un gesto informativo.
Appena crollato l’ormai famoso ponte Morandi è stato subito attivato il servizio SeP
( Servizio Psicologi per l’Emergenza) della Croce Rossa. Questo Team è formato da Psicologi per

l’Emergenza accreditati a lavorare in situazioni delicate e nelle maxi emergenze. Possiamo essere chiamati per un incidente stradale, per aiutare le famiglie in attesa di notizie del proprio caro disperso, in pronto soccorso e in tutti quei luoghi di grande caos, fisico e mentale. Sì, perché in queste situazioni oltre a cogliere il disagio e il dolore di chi è coinvolto come Vittima primaria e secondaria, serve qualcuno che a mente fredda sappia spiegare bene, con parole chiare e comprensibili ciò che sta accadendo, in modo da contenere gli aspetti emotivi come le urla, il pianto e il silenzio. Oltre alle parole, di primaria importanza sono i gesti che decodificano la presenza di una persona attenta ai bisogni di chi aspetta. Sarebbe utile indipendentemente dallo scenario dell’emergenza creare un luogo in cui potersi sedere, bere qualcosa e avere un posto dove piangere e parlare senza troppi curiosi, che non mancano mai. Il Dolore non è solo privato, ma intimo e ha necessità di essere espresso nei modi che la persone ritiene più vicina alle proprie abitudini e modi appresi. Questi elementi di cura sono alla base de benessere di tutti, come Maslow, nella sua piramide, esprime in modo chiaro. Solo se tali bisogni sono accolti, la ripresa della persona e il recupero di un benessere più ampio sono possibili.

 

Lo scopo dello Psicologo è quello di verificare come le persone riposano, se mangiano, se riescono a rilassarsi, anche per poco, perché hanno bisogno di essere forti per affrontare ciò che ancora non si sa: da una brutta notizia ad informazioni inattese, ed in evoluzione. Lo scenario in emergenza non è mai chiaro e bisogna tollerare la costante incertezza, mancanza di chiarezza nelle notizie e questa è una delle parti più difficili del lavoro : gestire l’ansia delle Vittime e dei parenti che hanno necessità di recuperare il controllo della situazione, in un momento in cui la Vita non ha più punti fermi perchè sconvolta e stravolta da qualcosa che è fuori da loro.
Genova aveva differenti scenari in merito : dalle famiglie direttamente coinvolte dal crollo del ponte, da coloro che avevano lasciato la macchina sul ponte, dagli sfollati delle case sotto il ponte che volevano andare a prendere i propri animali n casa e i beni di prima necessità, dai parenti arrivati in soccorso alle Vittime da altre regioni, da coloro che dovevano identificare le salme in obitorio, o attendere al pronto soccorso notizie di chi era arrivato in codice rosso e non dimentichiamoci dei Volontari che sono considerate in termini di fattori di rischio, coloro che vengono dopo le Vittime e parenti, poiché direttamente coinvolti sullo contesto. Ho scritto volutamente “ ponte” più volte, perché è stato l’aspetto nodale per tutti noi, il collante tra tutti anche se sconosciuti.
Personalmente ho lavorato a contatto diretto coi VVF, che senza sosta, si sono adoperati per estrarre le persone le persone intrappolate tra macchine e cemento : loro sono abituati a ritmi di attività elevati, esposti a scenari delicati, ma non per questo non hanno bisogno di scambiare due parole per distarsi, che servono per recuperare il senso di realtà diverso dall’incidente, perché è là che dovranno tornare quando il loro lavoro sarà finito. Offrire un caffè, dei biscotti, permette di rifarci a Maslow, per cui i bisogni fisiologici primari devono essere soddisfatti per permettono loro di tornare sul luogo definito “crash” e continuare a lavorare per la Comunità colpita.

 

Quindi : dare un genere di conforto come per gli sfollati significa co – costruire con loro le basi per aumentare e tornare alla propria autonomia.

 

 

 

Piramide di Maslow

Piramide di Maslow

 

 

 

Quando si accompagno le persone a riconoscere i propri parenti in obitorio l’importanza dell’attenzione dei bisogni primari è la medesima. In tal caso il luogo dovrebbe essere discreto e intimo, dedito al pianto libero, ma a Genova c’erano molte persone che aspettano i dispersi e purtroppo non era possibile rispettare tali richieste. Così ognuno di noi accoglieva i familiari piuttosto disorientati , ci si presentava e spiegava loro con la calma dovuta la procedura del riconoscimento. Una volta effettuata, si accompagna il familiare scelto per l’identificazione, e gli si stava vicino, in ogni momento. Al rientro dall’obitorio lo si riaccompagnava alla famiglia che aveva mille domande e fantasie, e si spiegava loro cosa si è fatto e cosa dover fare nei prossimi momenti. Accogliere il disagio, la paura, riportare le persone alla realtà, restituire un significato a ciò che sta accadendo è estremamente difficile: il caos regna e in questi momenti mi sento di rispondere solo che bisogna ricominciare un pezzettino alla volta. Non c’è altro che passare nel Dolore della perdita, nel “ buco del cuore” della Gamberale, nel libro “Qualcosa”, e permettersi di piangere, di restare in silenzio, di prendersi il diritto di stare male, anche se bisogna rispondere al telefono, agli amici, al parroco e via cosi.
Questo è ancora più tangibile quando si va a casa del parente che attende notizie del recupero della salma e bisogna sapere gestire intere dinamiche familiari che riemergono più forti della quotidianità, perché sollecitate dal lutto.

 

In tal caso si entra non solo nell’ abitazione, ma in una intimità diversa: si vedono le foto, gli oggetti, gli abiti lasciati sulla sedia prima che il ponte crollasse; si tocca la quotidianità stravolta dalla perdita, si vedono i familiari per un monte ore indeterminato e si viene inclusi nelle loro modalità comunicative e spesso litigiose. Si assiste a dialoghi segreti, a pianti e a decisioni difficili da gestire.
Un Valore aggiunto è far parte della Croce Rossa: questo ci permette non solo di condividerne i sette Principi, ma di avere anche competenze di primo soccorso che in eventi delicati e compressi come questi sono frequenti.

 

Questo lavoro spesso sommerso o nascosto ottiene riconoscimento da quel “Grazie, siete degli angeli” una volta usciti dall’obitorio , o quando vai via dalla loro casa e ti dicono “Ci mancherete, grazie”. Piccoli gesti pieni di profondità, poche parole ricche di significato.

E dopo?
Beh noi Psicologi avremmo il nostro consueto debriefing con una Collega Psicologa in modo da elaborare i nostri vissuti emotivi che “sul posto” non possono essere espressi, ma devono comunque emergere successivamente.
Invece per i Sopravvissuti e i loro parenti io consiglio loro di fare un paio di colloqui con psicologi dell’Asl in modo da elaborare il trauma, perché si tratta di situazioni complesse che possono insinuarsi, se negate o trascurate, nella vita quotidiana e diventare vere e proprie patologie psicofisiche.

 

Lo Psicologo dell’Emergenza infine fa anche attività di psico-educazione, sia direttamente coi parenti delle vittime, sia nei corsi di formazione ai Volontari per aiutarli ad identificare i fattori di rischio dei Disturbi Post Traumatici da Stress.

 

Dott.ssa Saggiomo Simona
Psicologa e Psicoterapeuta

 

 

Articolo disponibile in formato PDF