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LE EMOZIONI IN STUDIO : invitiamole!

 

 

“Tu puoi distanziare quello che corre dietro di te, ma non quello che corre dentro di te” ( proverbio cinese)

 

La paura più grande che incontro in studio insieme ai miei pazienti è l'espressione delle proprie emozioni. Tante volte la fatica di esprimere la Rabbia o la Vergogna, o sintomi come l'Ansia procurano problemi ampi e trasversali, in se stessi, nella coppia, in famiglia o a scuola. Perché tanto timore nell'accogliere ciò che ci fa paura?


Lo Psicologo ha il grande compito di creare in primis un luogo protetto dove “ si può fare” e pensare ed esprimere in modo costruttivo ciò che temiamo fuori dallo studio: questo spazio io lo considero un po' come un'anticamera della nostra vita sociale, un posto dove provare, dove sperimentare, dove iniziare ad essere ciò che si sente, con tutto ciò che comporta, per accogliere, finalmente, ciò che da tempo ci fa star male.


Si tratta di un percorso, di togliere e fare spazio per scoprire e far rinascere: un po' come quando da tempo non togliamo la polvere da mobili; altri sostengono sia come scolpire qualche cosa, ed eliminare ciò che non serve a far emergere la futura scultura. In entrambi i casi si tratta di liberare, lasciar andare, fluire e muoversi da uno stato di fermo durato tanto tempo verso qualche cosa di nuovo. Il blocco è fatto di Paura, Vergogna, Rabbia,ma insieme allo Psicologo si può provare a “ sentire”, come fare? I modi per far esprimere queste emozioni le scelgo a seconda delle risorse e delle caratteristiche del paziente.


Mi chiedo infatti che cosa piace all'altro, se preferisce disegnare, scrivere, costruire o parlare. In tutti questi casi co- costruisco con lui il modo più utile per aiutare le emozioni ad esprimersi. Nel corso degli anni ho perfezionato tali tecniche facilitatorie.


Vediamo qualche esempio:
Elisa è una ragazza di 26 anni a cui è morto il padre a causa di un infarto. In seguito al lutto e alla sua elaborazione non riusciva ad esprimere la rabbia dell'accaduto, che si manifestava solo attraverso pianti silenziosi. Un giorno le chiesi come viveva questa situazione e lei “ Con difficoltà… non riesco a tornare ad essere serena… ho sempre in mente papà e la morte che lo accompagna”. Elisa disegnava molto bene e le piaceva, così provai a chiederle di disegnare suo papà, come lo sentiva: non doveva essere un bel disegno, ma qualcosa che esprimesse la sua emozione nel vivere suo padre. Dopo la spiegazione della consegna, nella seduta successiva tornò con un foglio a forma quadrata e un'aquila in volo, fatta con acquarelli tendenti al marrone, su sfondo azzurro. Le chiesi di spiegarmi il suo disegno: “ Questo è mio papà che vola via...”. Da questo momento in poi fu possibile parlare della Morte, della Paura e del Dolore che occupavano molti pensieri di Elisa. Oltre che disegnare e colorare in sé, il meccanismo che è utile e facilitatorio è proprio “vedere” fuori da sé ciò che ci fa male o ci impedisce di elaborare i vissuti legati ad eventi tragici come una Perdita.


Un altro esempio molto bello fu quello che mi ha suggerito una paziente: Valentina viene in studio per un problema alimentare che invece nascondeva una difficoltà relazionale con sua madre e prima ancora con la nonna materna. Decidemmo insieme che era ormai ora di diventare indipendenti da queste figure un po' ingombranti, ma senza eliminarle, perché erano state importanti. Non ci serviva solo salutarle, ma creare qualche cosa di diverso. Da una sua frase decidemmo insieme di costruire una sorta di scatola in cui inserire gli aspetti che non volevamo più di quelle figure e così Valentina fece : inventò la scatola in cui di volta in volta inserì dei bigliettini con cui scritto sopra le cose, gli aspetti, le emozioni da cui voleva differenziarsi, prendere così distanza in modo da non ripeterle come fino a quel momento aveva fatto. Alcuni doni ereditati dai nostri genitori non sempre ci fanno bene, magari per un po' ci aiutano, ma altre volte ci incastrano o bloccano. In questo modo siamo riuscite a parlare di ciò che era nascosto dietro un disturbo alimentare importante, e a prenderne le distanze, perché ancora una volta fare qualche cosa, come costruire una scatola era una modalità per tirare fuori e mettere in un altro posto le difficoltà, senza eliminarle, ma accoglierle in un altro luogo fuori da sé. In tale modo Valentina ha iniziato a diventare grande senza quei dictat che tanto l'avevano condizionata.


Claudia è una donna di 64 anni molto giovanile che ha voglia di fare ancora qualcosa nonostante la pensione. Viene in studio da me per problemi di coppia, ma emerge una difficoltà più profonda che la condiziona molto nel suo modo di porsi agli altri. Esaminando la sua storia familiare emerge una figura paterna presente, ma giudicante e questo la disturba molto. Si dice arrabbiata verso un papà che non gli ha permesso di scegliere la strada che lei voleva, dalla scuola al lavoro. La Rabbia la perseguita e lei la rivolge verso se stessa punendosi e sentendosi al contempo in colpa per questi sentimenti ambivalenti : da un lato gli vuole bene, dall'altro si sente arrabbiata. Come mettere in accordo queste due parti?


Le propongo di scrivere una lettera al padre in cui è importante che gli racconti i suoi sentimenti e le sue aspettative. Purtroppo fosse vivo si poteva pensare ad un invito in studio, ma quando non è possibile, scrivere è un modo comunque utile per esaminare ed esprimere ciò che si prova. Nella seduta successiva Claudia arriva con un foglio in cui racconta tutto ciò che nel rapporto con suo padre detestava, ma non me la legge, resta sua, privata. Nell'incontro seguente Claudia si presenta più mesta e tranquilla, mi dice che ha fatto pace con suo padre e glielo ha scritto nella seconda parte della lettera: “ Ho capito che lui poteva fare solo quello che ha fatto, lui credeva fosse la cosa giusta per me e solo adesso l'ho capito. Mi sono liberata di un peso e ora lo posso pensare anche come un buon papà”. Mi racconta queste cose con molta commozione che diventa contagiosa: anche io mi emoziono e ringrazio la signora Claudia per aver condiviso con me questa sua esperienza.


Capita anche di incontrare pazienti a cui non piace scrivere o disegnare, ma preferiscono parlare; in questi casi uso la personificazione dell'emozione o stato d'animo con cui si ha difficoltà ad interagire in altro modo. Un giorno chiesi ad un signore di parlare con la sua Ansia: presi una sedia e la misi di fronte a lui e io a lato, ma più distante, per rispettare quello spazio privato e delicato. Claudio iniziò a parlare con titubanza iniziale, poi più deciso. Dopo qualche minuto iniziai a fare delle domande anche io alla sua Ansia e fu possibile capire come mai fosse arrivata e sopratutto a che cosa serviva al paziente. Costruimmo così delle ipotesi di lavoro per capire il significato dell'Ansia e di come risolverla.


Queste tecniche hanno bisogno di alcune precisazioni per funzionare:


- costruire una relazione di fiducia reciproca;


- avere delle ipotesi di lavoro condivise;


- rispettare le risorse e le capacità del paziente;


- permettere l'espressione libera di ciò che si è prodotto e facilitarlo.


Grazie a queste esperienze ho potuto imparare molto dai miei pazienti ed è merito loro se oggi posso aiutare altre persone ad elaborare ciò che sentono. Il merito va anche a loro.

 

Articolo disponibile in formato PDF